Genitori a tutti i costi (1)

Nonostante i progressi compiuti dalla medicina negli ultimi anni, in Italia la percentuale di successo di nascite ottenute grazie alla procreazione assistita è di circa il 23 per cento, un dato molto variabile in funzione dell’età della madre. La percentuale scende al 9% per donne con meno di 35 anni e al 4,5 per cento tra le ultraquarantenni, dove cresce il rischio di malformazioni fetali, aborti spontanei e altre complicanze.

Il prolungarsi degli studi, il desiderio di un ruolo non coincidente con quello materno, gli impegni professionali uniti a rapporti di coppia sempre più instabili o l’impossibilità per molte giovani di trovare un lavoro inducono le donne a rimandare la decisione di avere un bambino. Dopo i 30 anni, quando l’ovulazione spontanea inizia a diminuire e la metà degli ovuli risulta inefficace, la probabilità di riuscita si riduce. Ha inizio così la frenetica corsa contro il tempo alla ricerca esasperata del “bambino dell’ultimo minuto”, proprio quando il concepimento diventa più difficile. Non riuscire a mettere al mondo un bambino in modo naturale è sentito spesso come un evento che offende e umilia, una disabilità, un deficit della propria identità femminile o maschile. L’infertilità è spesso un tabù, qualcosa di cui vergognarsi – racconta una donna –  “si preferisce non parlarne e si ha l’impressione che le persone evitino di affrontare con l’argomento “bambini”. In ufficio, quest’anno, due colleghe sono rimaste incinte ed io sono stata l’ultima a saperlo, forse volevano proteggermi, ma questa delicatezza mi ha ugualmente offeso”

Non riuscire ad avere figli non è mai solo un evento fisico spiegabile con numeri e statistiche ma anche una circostanza misteriosa dove la suddivisione tra cause organiche e psicologiche sfuma e diventa talvolta incomprensibile anche per gli stessi ginecologi.

Anche in presenza di una diagnosi organica la sterilità può evocare esperienze passate verso le quali si nutrono sensi di colpa: la scelta di un partner non adeguato, un precedente aborto o l’uso di anticoncezionali per molti anni, una relazione conflittuale con la madre, il percepirsi con un’identità adolescenziale, non matura o troppo indipendente. In alcuni casi ci si sente vittime di un destino avverso che affonda le radici nella storia familiare: un lutto precoce, la separazione dei propri genitori, non aver mai avuto uno spazio affettivo per sé all’interno della famiglia, essere stati figli non desiderati.

La paura inconscia di un figlio, l’ambivalenza, lo stress possono essere potenti anticoncezionali, ed è frequente che le coppie accedano in modo inaspettato all’esperienza della procreazione naturale proprio quando decidono di avviare le pratiche di adozione o di rinunciare all’idea di avere un figlio.

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