Il “buon” divorzio
Il numero dei divorzi “cattivi” resta ancora molto elevato malgrado l’introduzione dell’affido congiunto, del divorzio breve e il faticoso lavoro dei giudici. Sebbene i dati forniti dal Tribunale di Milano indichino una maggioranza di divorzi consensuali e solo un 17% di divorzi giudiziali, nella realtà la battaglia fra gli ex coniugi prosegue più o meno silenziosamente per molti anni, fuori dalle aule del Tribunale.
Anche se la separazione viene ritenuta giusta e vantaggiosa per entrambi, si continua a viverla inconsciamente come un abbandono. Litigare può divenire un modo per mantenere un legame, come se si preferisse non voler dimenticare la passione anche a condizione di viverla col segno opposto, oppure può aiutare illusoriamente a prendere più facilmente le distanze. Ciò è ancor più vero nei casi di legami molto simbiotici in cui il partner è una sorta di estensione di sé e la separazione risulta come una perdita di parti della propria identità.
In Lombardia le famiglie divorziate o separate sono circa un milione, il 60% delle quali con figli. Al di là dell’esito giudiziario quanti ex coniugi sanno andare oltre la conflittualità per rimettere in piedi la possibilità di essere ancora genitori? Quanti riescono a dismettere il vestito della rabbia per indossare quello della consapevolezza delle proprie emozioni e arrivare ad una co-genitorialità accettabile?
Noi operatori del sociale (psicologi, assistenti sociali, educatori e mediatori) sappiamo che le separazioni sono dolorose per i figli, non solo perché costituiscono una situazione di perdita e di sofferenza ma anche perché essi stessi si trovano spesso implicati nella guerra familiare.
Per molti è irresistibile la tentazione, quando ci si sente traditi e delusi, di restituire la ferita proprio là dove il tuo o la tua ex è più vulnerabile, il rapporto con i figli. Avviene così che i ragazzi vengano tiranneggiati da una parte e dall’altra, assimilati al partner nei suoi aspetti indesiderati o cooptati come alleati. Si possono instaurare dei veri e propri circoli viziosi in cui ciascuno dei due cerca di sabotare il rapporto dell’altro con i figli, talvolta riuscendoci davvero.
Molti figli sentono di doversi far carico di un genitore triste e si sostituiscono al genitore assente. Il rischio è di fare coppia e di creare troppa complicità, mettendo sulle spalle dei più piccoli il compito impossibile di far da genitori o da psicologi ai propri genitori. Il progetto di crescita, sentito come colpevole rispetto a una richiesta di aiuto, può così rallentarsi. Alcuni ragazzi soffrono in silenzio, si ritirano perdendo la speranza nel futuro, altri esprimono il proprio malessere utilizzando condotte provocatorie.
È evidente che sono i figli le vere vittime dei giochi al massacro fra i genitori: loro stanno in mezzo, in balìa dei flutti, e possono mettere in atto vere e proprie strategie di salvataggio spesso rischiose per salvaguardare il legame con i genitori.
I bambini, i ragazzi hanno molti dubbi e molte angosce, ma in questo trambusto chi li ascolta? Una delle cose che rimproverano ai genitori perfino dopo anni è di essere stati lasciati all’oscuro con le loro domande rinchiuse nella mente e nel cuore: i piccoli temono di formularle, per paura che restino appese nel vuoto o che possano mettere a disagio o far del male a qualcuno a cui vogliono bene. Se i genitori riescono ad ascoltarli senza paura di sentire le loro sofferenze, che forse ingrandiscono per via dei propri sensi di colpa, possono essere aiutati a scoprire risorse insospettate.
Il divorzio non può e non deve essere contraddistinto da fratture irreparabili perché i legami non si cancellano ma semmai si trasformano nel tempo. Ci si può separare consapevolmente con l’intento sincero di non farsi del male e non fare male ai propri figli, per arrivare serenamente ad un affido congiunto o persino ad un “co-parenting” ovvero essere tutti e due presenti nella loro vita, con la possibilità di potersi riunire anche insieme intorno a un tavolo a cena in occasione di un compleanno o di una bella pagella.
Realizzare un “buon divorzio” richiede tempo, pazienza e una forte volontà, oltre all’affiancamento di gruppi di professionisti esperti nelle pratiche di conciliazione, di divorzi amichevoli, istruttori di un divorzio mediato e di relazioni serene. Scenari burrascosi si possono così modificare grazie all’intervento di terzi che aiutano a distinguere tra fantasmi e reali difficoltà.
L’aiuto esterno deve accompagnare passo dopo passo in un cammino paradossale: la morte di un progetto insieme che deve per certi versi continuare a vivere perché per rimanere genitori sono necessarie forme di alleanza e di cooperazione.